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30 agosto 2002
 
Ho letto da qualche parte che occorrerebbero almeno un paio di generazioni per riacquistare la capacità manuale degli uomini del Neolitico nella fabbricazione di armi ed utensili in selce. Non so se è vero, ma mi sembra una stima plausibile.
Quante generazioni occorrerebbero per ricreare da zero le conoscenze e l'abilità di un falegname, un fabbro, un decoratore?
Questi patrimoni d'esperienza e manualità non sarebbero mai ricostituibili nelle loro interezza. Perchè l'apprendimento di un mestiere non è fatto solo di nozioni ed esercizio. Si trasmette qualcosa che distingue l'opera dell'uomo da qualunque prodotto industriale. Si trasmette l'essenza, l'anima di un mestiere.

diavoletto.jpgLa testa di diavoletto sbeffeggiante qui accanto è alta un palmo e l'intagliatore l'abbozzò in poco più di dieci minuti in un pezzo di scarto. La fece per divertimento o per spiegarmi qualcosa che non ricordo; poi me la regalò.
Da ragazzo nella bottega di questo intagliatore ci passavo pomeriggi interi, ogni tanto. Mi piaceva l'odore del legno, mi piaceva veder nascere piccoli capolavori in quel posto buio, disordinato e polveroso sempre inondato di musica classica (RadioTre).
Io provavo a disegnare qualcosa e l'artigiano mentre lavorava canticchiava o commentava il giornale radio. Qualche volta s'infervorava, di solito per un discorso d'arte: piantava lì il pezzo da finire, afferrava uno dei grandi libri che s'impolveravano sugli scaffali e mi faceva vedere ("Guarda, guarda!!") e mi spiegava Leonardo... e Michelangelo e Brunelleschi ...

Io credo che dovremmo conservare questi uomini e questi mestieri con la stessa cura che dedichiamo alle Piramidi o alla Gioconda. Sono la nostra storia, la parte più fragile della nostra storia. Basta lo spazio di una generazione per cancellare tutto. Per sempre




28 agosto 2002

 
Biocosa ?!? (2)

Questa puntata ce l'ho in testa da parecchio, ma ho sempre rimandato per mancanza di documentazione. Oggi approfitto della giornata piovosa e butto là una paccata di considerazioni gratuite, nella speranza di essere smentito.

Uno dei pregiudizi più radicati sulle pratiche bioedili riguarda il loro costo, sensibilmente più alto rispetto a quello dell'edilizia tradizionale.*
Non si tratta di un'idea infondata. I prodotti di origine naturale generalmente hanno prezzi più elevati, richiedono tempi di lavorazione più lunghi, asciugano più lentamente, raramente possono essere applicati con mezzi meccanici, richiedono attenzione ed esperienza maggiore da parte degli operatori.
Naturalmente un confronto che si limiti al momento dell'edificazione è incompleto: l'economicità andrebbe valutata nel lungo periodo. In questa prospettiva una casa costruita con criteri bioedili è conveniente per la salute degli occupanti, il risparmio energetico, le minori esigenze di manutenzione e ristrutturazione nel tempo. Ma vallo a spiegare....

La resistenza del cliente-tipo (quello che per prima cosa ti chiede:"Quanto costa?") è tanto più forte quanto minore è l'entità dell'intervento. Come in tanti altri aspetti dellla vita contremporanea, si tende a sottovalutare l'importanza dei piccoli gesti, dei comportamenti minimi che invece condizionano pesantemente la qualità della vita e l'integrità dell'ambiente.
D'altra parte l'artigiano dovrebbe essere in grado di dare alternative valide.... e qui arriviamo al punto dolente del prezzo dei materiali.
Come si può ragionevolmente proporre al cliente un materiale che costa il doppio-triplo di quelli usuali? E, soprattutto, questra differenza è giustificata?
Io credo di no. Non sempre perlomeno. Esempi...

Famosa ditta tedesca, vernici e impregnanti ultracertificati biocompatibili. Per verniciare una porta occorrono lo smalto, il colorante e il diluente appropriati. Il costo del materiale è paragonabile all'importo totale del lavoro (manodopera compresa) eseguito con prodotti sintetici.

Nota casa prodruttrice di malte e leganti per il restauro. Un sacco di calce idraulica naturale ultragarantita costa 6-7 volte più di un sacco di buona calce pozzolanica d'uso comune.
Cavolo! Sarà quel che sarà, ma sempre calce è ! Cosa giustifica un prezzo tanto elevato?

Grosso produttore di pitture per l'edilizia. Una confezione da 15 litri di pittura alla calce costa all'applicatore 25-30 Euro. Un sacco di grassello di calce può essere acquistato in un magazzino edile per 4-5 Euro. Perché tanta differenza per un materiale che è tanto più apprezzato quanto meno inquinato da additivi?

Il risultato di questa politica commerciale è sotto gli occhi di tutti. I prodotti d'origine naturale sono utilizzati quasi esclusivamente negli edifici di pregio (proprio laddove architetti e committenti sono già sensibili alle tematiche bioedili e meno assillati da problemi di budget), mentre la massa dei consumatori è tenuta alla larga a causa dei listini esorbitanti.
Sono talmente indispettito che adesso faccio pubblicità palese a un'azienda italiana:
Durga fa buoni prodotti a un prezzo ragionevole.

*In bioarchitettuta spesso viene definita "tradizionale" l'edilizia moderna e questo la dice lunga sull'egemonia culturale del modo di costruire che si è affermato solo negli ultimi 40-50 anni.

Puntate precedenti nell'archivio di giugno




26 agosto 2002

 
Piove.
È ancora agosto ma è già settembre.
Il tempo dei progetti, dei buoni spropositi di sempre.
Nuove prospettive, soliti punti di fuga.



24 agosto 2002

 
ripensamento.jpg

Ripensamento




22 agosto 2002

 
Perciò Michelucci sarebbe andato d'accordo con quell'architetto che, mentre si trovava nel cantiere dov'era in costruzione una moschea, ebbe la visita del capo religioso del villaggio di Tivawone che gli disse: "Bisogna sbrigarsi ad ultimare i lavori perché la gente, dopo il tramonto, scavalca le transenne e viene a pregare qui". Al che lui rispose: "Vuol dire che la moschea è già finita".

da Le parole per guardarle di Giuseppe Cecconi



20 agosto 2002

 
La sindrome del fortino

Negli ultimi decenni molte famiglie italiane hanno abbandonato le città per trasferirsi in provincia o in ambiente rurale. È stato uno spostamento massiccio, cominciato in sordina negli anni '70 ed esploso più tardi, in contemporanea agli spot Mulino Bianco.*
Alcuni hanno erroneamente definito questo fenomeno come "ritorno alla campagna". In realtà siamo di fronte ad un vero e proprio processo di colonizzazione. Nella maggior parte dei casi i cittadini in fuga non hanno adattato il proprio stile di vita al nuovo ambiente, ma vi hanno importato usi e tic tipici dei centri urbani, accellerando semmai il processo di disgregazione sociale e omologazione culturale già in corso. I paesi si trasformano velocemente da sedi di comunità vitali in quartieri-dormitorio decentrati; la casa rurale ristrutturata diventa villa/villetta.

Dal punto di vista achitettonico le prime fasi di questa colonizzazione sono state caratterizzate da scempi indescrivibili e modifiche irreversibili delle caratteristiche originali dei fabbricati. Si è oscillato tra lo stravolgimento in chiave moderna dei vecchi edifici e l'elaborazione di elementi "rustici" inventati di sana pianta: la facciata sbruffata, la cucina in muratura coi pensili, il gazebo in legno, i lampadari di ferro battuto in stile medioevale...
Fortunatamente col tempo sensibilità e gusto sono migliorati, tuttavia la mancanza di una vera cultura rurale si fa sentire inesorabilmente. La casa in provincia rimane un incidente di percorso, l'involucro occasionale di un'esistenza che si svolge altrove con altri ritmi.

Alcuni segnali di questo scollamento sono visibili a colpo d'occhio (l'onnipresente antenna parabolica, l'asfaltatuta delle strade d'accesso, il sacrificio degli spazi esterni in funzione del totem-automobile), altri si manifestano in maniera più sottile: i marciapiedi perimetrali "staccano" la casa dalla terra, il prato all'inglese separa dalla vegetazione naturale, l'illuminazione esterna esorcizza il buio della notte, le recinzioni e i cancelli citofonati isolano per definizione.

divieto.jpgLa lamentela più frequente che sento fare dai neo-campagnoli è : "Qui la gente s'occupa troppo degli affari altrui".
Io sorrido. Dilettanti...
La difesa della propria sfera privata è un'arte che non s'improvvisa, occorrono anni e anni d'esperienza per saper disinnescare le comari più impiccione. È un gioco che assomiglia molto a quello dello spionaggio-controspionaggio: bisogna fornire informazioni verosimili (ma irrilevanti) che plachino la curiosità delle megere e le dissuadano dall'investigare più in profondità. L'errore peggiore è quello di chiudersi a riccio, costringendo i paesani a lavorare di fantasia. Le conseguenze di una difesa dissennata della propria privacy sono inimmaginabili.
D'altra parte il pettegolezzo invasivo è solo una faccia della medaglia, lo scotto da pagare per mantenere rapporti umani degni di questo nome. Le barriere erette intorno ai cascinali ristrutturati hanno solo apparentemente scopi difensivi (nessun malintenzionato si farebbe scoraggiare da un muro di cinta o da una rete metallica). In realtà tengono lontani gli altri. Tutti gli altri.

*Uno dei miei show più applauditi dell'epoca d'oro Mulino Bianco...
aprire un varco in un roveto colossale a colpi di roncola, grondare sudore e sangue, trascinare fuori un tronco di cipresso da bruciare nel camino (anche per oggi non muoriamo assiderati), esclamare trionfante: "Certo che... la vita in campagna mantiene in forma!"




 
Scopro solo adesso di aver perso una mostra che mi sarebbe piaciuto parecchio vedere:
le case di terra



15 agosto 2002

 
Un sogno dell'infanzia: la casa sull'albero.
(via Minotauro)



13 agosto 2002

 
le strade biancheC'è qualcosa di più triste di un casolare abbandonato ai bordi dell'autostrada?
Sì, c'è: è un casolare abbandonato ai bordi dell'autostrada e la fila di macchine COI FARI ACCESI DI GIORNO che passa accanto.
Io lo trovo un oltraggio intollerabile.

Un motivo di più per opporsi al progetto di autostrada in Maremma.
Intanto il comitato Le strade bianche annuncia un piccolo/grande successo: un'area verde nei Comuni di Buti e Vicopisano (prov. di Pisa) sarà restituita ai pedoni, ai ciclisti e ai ranocchi. Il silenzio di giorno, il buio di notte.
Stiamo pensando ad una festa di riappropriazione per settembre. Darò notizie.




08 agosto 2002

 
Imprinting

"Ehi!... ma io credevo che tu avessi sessant'anni almeno!", mi dice al telefono una tipa che finora mi ha conosciuto solo attraverso la Rete.
Rapido scandisk interiore, riavvolgimento veloce del blog.
Devo ammettere che la tipa non ha tutti i torti.
Cioè... effettivamente io non sono di primo pelo (strabuzzai gli occhi scocciatissimo per la prima volta nel '59), però porto tracce indelebili di un mondo sensibilmente retrodatato.

Sono nato e cresciuto in un minuscolo borgo agricolo dei Monti Pisani, una specie di riserva indiana dove le robe moderne hanno tardato parecchio ad arrivare.
Lì non c'era telefono né acqua corrente: l'acqua si tirava su dal pozzo a forza di braccia.
La strada era sterrata, non avevamo l'automobile.
Il camino era l'unico impianto di riscaldamento a disposizione.
La porta di casa si chiudeva solo per sbarrare l'ingresso ai polli.
Ho giocato lunghe estati nel bosco, guidato l'asino che trascinava l'aratro, starnutito nel polverone che facevano le trebbiatrici di legno sull'aia.
Ho visto la gente stare insieme.
Di sera le famiglie si riunivano a veglia.
Le lunghe tavolate per la vendemmia.
Il chiacchericcio negli uliveti.
Le sbornie colossali dei pastori dopo la tosatura delle pecore (al mattino ce n'era sempre qualcuno che russava beato in un fosso).
La festa sanguinosa del maiale.
Il maniscalco che piantava quei lunghi chiodi negli zoccoli dei muli e mi prometteva ogni volta un'armatura da guerriero.
Le notti in frantoio.
L'arrotino, il sensale.

Erano uomini lenti e operosi che non conoscevano la separazione tra la vita e il lavoro. Ignoranti e saggi, sgradevoli e cortesi allo stesso tempo. Arcaicamente feroci, certe volte.
Il tempo e la televisione hanno spazzato via tutto: adesso quel mondo (r)esiste solo dentro di me.

La cosa brutta è che non mi adatterò mai al modo di vivere cretino di oggi.
La cosa bella è che non mi adatterò mai al modo di vivere cretino di oggi, con le dovute eccezioni. Questa, per esempio.






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